
Come l'approccio Zero Trust può fare la differenza.
Qualche settimana fa ho scritto un articolo proprio sulla fiducia e in queste righe vorrei affrontare il tema della fiducia in ambito informatico.
Leggendo il Rapporto Clusit marzo 2022 emergono alcuni dati importanti che meritano attenzione.
Nel 2021 gli eventi di sicurezza rilevati dal SOC di Fastweb hanno registrato un aumento del 16% ma, quello che dovrebbe farci riflettere, è l’aumento del 58% dei server compromessi da malware e botnet e dalla rilevanza dei dispositivi mobili.
In Italia i settori più colpiti si confermano il Finance/Insurance e la Pubblica Amministrazione, obiettivi che insieme costituiscono circa il 50% dei casi. A questi si aggiunge quello dell’Industria che ha presentato l’aumento più significativo, dal 7% del 2020 al 18% del 2021.
Anche nelle email la situazione non migliora, le tecniche di attacco sono sempre più sofisticate e difficili da intercettare.
A tutto questo dobbiamo aggiungere il cambio di paradigma nelle nostre attività on-line, la disponibilità di nuovi servizi SaaS, il cloud pubblico (AWS, Azure) e lo smart working, che rappresentano grandi opportunità per utenti e aziende ma allargano il perimetro esposto dei sistemi.
Tematiche che non possono essere affrontate senza un approccio Zero-Trust, la cui fiducia riconosciuta a strumenti ed utenti è concessa solo se coerente con i comportamenti leciti.
Una certezza quindi è che la sicurezza come la si immaginava dieci anni fa ormai non è più sicurezza!
La fiducia che si riconosceva agli utenti interni rispetto agli esterni, ai propri server e alle proprie applicazioni non è più un modello adeguato ai tempi che corrono.
Come nella mia riflessione dove ponevo l’attenzione sul guadagnarsi la fiducia dimostrandolo con le azioni, anche in ambito applicativo il paradigma della Zero-Trust segue il medesimo principio.
L’approccio prevede la definizione dei privilegi minimi di accesso per svolgere certe operazioni, vengono rilevati e valutati i rischi sui dati, sull’identità, sui dispositivi, le applicazioni e l’infrastruttura.
In generale non ci si fida mai ma si verifica sempre.
Infine si immagina che una violazione possa accadere realmente, prima o poi: così facendo si identificano le minacce e si predispongono le risposte automatiche che oltre a fermare l’attacco nell’immediato siano in grado di adattarsi dinamicamente.
Tornando al report un altro aspetto interessante sono i risultati dell’intervista fatta a 732 amministratori di sistema.
Nel dettaglio il 59% dichiara che la quantità di tempo che dedica al lavoro è aumentata rispetto allo scorso anno e il 62% lavora più di 40 ore a settimana.
Il 29% afferma di essere più concentrato sulla sicurezza informatica.
Il 40% dichiara di essere preoccupato per la rapida evoluzione delle minacce informatiche ed ammette che il lavoro a distanza ha distolto l’attenzione dalle attività di sicurezza.
Il 73% infine afferma che la propria vita sarebbe più semplice se gli utenti smettessero di cliccare su collegamenti o allegati sospetti e il 42% dichiara inoltre che sarebbe un sogno se gli utenti smettessero di scrivere le proprie password su post-it attaccati al loro PC.
Una fotografia sicuramente interessante e che non può che farci riflettere.
In alcuni casi con un pizzico di presunzione, visti i servizi che via via si sono evoluti in GPV Solutions dal 2004 ad oggi.
Servizi che in accordo con i nostri partner spaziano dalle survey agli assessment, dalla gestione in modalità full managed di UTM, Infrastrutture cloud ed End Point ai sistemi di autenticazione MFA.
Soluzioni che, anche alla luce del rapporto Clusit, ci rendono orgogliosi di aver intrapreso questo percorso con l’obiettivo di supportare IT Manager, aziende e pubbliche amministrazioni nella gestione della cyber security.